Oggigiorno praticamente ogni film autoconclusivo cova l’ambizione non troppo segreta di trasformarsi in un prolifico franchise. In parecchi avevano storto il naso all’annuncio del sequel di A Quiet Place proprio perché ormai godersi un film in quanto autoconclusivo fino a portarlo al successo significa decretarne la fine repentina dell’autoconclusività, specie se tra i produttori c’è un esperto di universi espansi come Michael Bay.

Quella di A Quiet Place però non è mera presunzione: questo secondo capitolo prova che oltre l’ambizione c’è la qualità necessaria a proseguire una semplice storia horror d’invasione aliena, fornendo quel tanto di sviluppo richiesto a non trascinarsi stancamente al capitolo successivo, senza però strafare in senso opposto.

Il maggior pregio di A Quiet Place II è il contegno

Di A Quiet Place II c’è da ammirare sopra ogni cosa il contegno. Quando il botteghino vola è facile montarsi la testa, invece il regista e cosceneggiatore John Krasinski è rimasto con i piedi ben saldati per terra: poche idee chiare e un minutaggio spartano (appena 97 minuti) per svilupparle senza inutili riempitivi. Ammirabile è anche come il film resista alla tentazione di ampliare il raggio d’azione e la magnitudo della vicenda. Altrove la scoperta del punto debole della terribile razza aliena che invade la Terra avrebbe portato a una militarizzazione del secondo capitolo, a una portata nazionale o globale della vicenda. Qui invece ritroviamo la famiglia Abbott dove l’avevamo lasciata, con un nuovo lutto sulle spalle e in tasca una potenziale soluzione al problema, ma nessun luogo o mezzo per applicarla oltre al limite della mera sopravvivenza personale. L’isolamento li ha anche resi vulnerabili rispetto a una società che è molto cambiata per sopravvivere all’invasione, spogliando molti di quanti ancora vivono del senso di comunità e solidarietà che la partita a baseball con cui si apre il film richiama.

Nel segmento introduttivo del film – ambientato nel giorno in cui ha inizio l’invasione – la pellicola si prende un paio di scene per introdurre il rimpiazzo di papà Lee, il rude e dolente Emmett (Cillian Murphy). Si torna poi nel presente, 473 giorni dopo il fatale arrivo degli alieni, con la famiglia Abbott decisa a lasciare il territorio familiare della propria fattoria in cerca di esseri umani e risposte.

Senza spingersi in territori d’eccellenza, John Krasinski fa un lavoro molto apprezzabile in quanto estremamente preciso nella narrazione visiva della storia. A Quiet Place II non è concentrato tanto nel spaventarci o giocare con le nostre aspettative grazie a jump scare di fattura grossolana. È una pellicola di sobria eleganza in cui ricorrono continui foreshadow visivi, giustapposizioni di eventi e scene, transizioni inaspettate da un gruppo di sopravvissuti all’altro che rendono l’intera storia un’esperienza di lutto, catarsi e ritrovata solidarietà collettiva.

È anche una pellicola che segue la strada di una nuova sensibilità nel ritrarre i ruoli di genere, senza però risultare una pedante lezioncina. L’Emmett di Cillian Murphy è un uomo sfiduciato e ricco di rimpianti, paralizzato dal lutto e precipitato in un’ossessiva vicinanza fisica con ciò che gli rimane della famiglia. Non sé in grado di reagire proattivamente come l’amico Lee, la moglie di lui Evelyn (Emily Blunt) o la figlia coraggiosa Regan (una Millicent Simmonds sempre più convincente). Tuttavia lui e il fratellino Marcus (Noah Jupe) trovano un modo loro per dare una mano, senza spropositati atti di eroismo, abbracciando la loro debolezza e ammirando le controparti femminili più coraggiose e leali, trovando posto al loro fianco e in loro supporto.

Dietro l’ottima riuscita del film c’è anche la mano di Paramount, forse l’unico studio ancora in grado di rischiare film di fascia media, slegati dalle logiche dei franchise (almeno inizialmente) come un A Quiet Place. Una strategia che durante la pandemia l’ha costretta a svendere alcune delle sue pellicole più pesanti ai servizi in streaming come Netflix. Con il ritorno in sala mostrerà la solidità di una proposta senza troppi grilli per la testa ma con l’aspirazione di fare bene e andare incontro a un pubblico non iperespanso, ma reattivo.



Players è un progetto gratuito.

Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.

Grazie!
, , ,
Similar Posts
Latest Posts from Players